L'avventura dell'assessore Marina Machì termina qui.
Di seguito due letterine, la prima è dell'amico Paolo Guzzanti, la seconda di Massimo Celani (nella scomoda veste di marito dell'assessore)
Cara Marina,
sono molto contento di leggerti e più ancora di vederti a settembre all'Aria Rossa con Giosi Mancini e alcuni malnati-malcapitati che condivisero con me la cayenna folle del Giornale di Calabria nel biennio 1973-75, cioè prima che mi chiamasse Scalfari alla nascitura Repubblica. Naturalmente ti seguo attraverso gli intensi e appassionati racconti di tuo padre e ho visto la foto della tua fantastica bimba.
Hai fatto e stai facendo un gran lavoro e capisco quello che stai passando con la politica partitocratica quando prevale sulla politica per i cittadini. (...)
Ho dato una scorsa ai tuoi link, molto belli e divertenti e didattici. L'idea di rieducare, o educare la Calabria è monumentale e assurda nella sua generosità, ma anche vittoriosa finché dura. Mi sembra che ti vogliano far fuori come elemento non omogeneo.
Bene, ora corro a portare a scuola i miei bambini piccoli (...)
Intanto un abbraccio e a prestissimo.
Paolo
Cara Marina,
il tuo vicino di casa, quando eri a Trieste, Claudio Magris, che ho leggiucchiato grazie a te, nel primo capitolo di "Microcosmi", ad un certo momento si mette a parlare del "Segreto" di Giorgio Voghera, ove "(...) celebra le virtù inutili di un universo impiegatizio, metodica precisione e assiduità dedicate al nulla, descrive il processo di antiselezione etica che porta inevitabilmente i peggiori sul ponte di comando della società e della storia, (...)”.
Situerei sullo stesso asse il commento di Enzo Gentile pervenuto su Facebook: “Che dire, se non che quando scegli di essere un assessore fuori dal comune, c'è sempre qualche idiota che ti prende alla lettera”. Enzo è capace di guizzi di superbo umorismo, e anche di qualche decostruzione in cui la letteralità annienta un metaforico abusato. Potrò forse astenermi da un inutile saggio sulla catacresi.
Che dici, si è fatta l'una: calo la pasta?
Massimo
martedì 25 giugno 2013
Sulla differanza
"Nella lingua non ci sono termini positivi, ma solo differenze", scriveva Saussure.
E' dal rapporto sincronico tra i vari termini, nel loro gioco differenziale, che si genera l'identità di un significato (la lettera "t", ad esempio può essere scritta in mille modi diversi ma l'importante è che "non si confonda", cioè si differenzi dalle altre lettere).
La differenza, indica poi il movimento di "differimento" temporale (ritardo o anticipazione) che disloca continuamente l'origine in un altrove, in un luogo e in un tempo "altri".
Sono alcuni dei motivi per cui Jacques Derrida introdusse il concetto di differànce, un neologismo che servisse a focalizzare l’attenzione sul carattere dinamico della differenza, irriducibile condizione di possibilità della presenza, dell’identità. L’identità non è qualcosa di dato, si determina in relazione ad altro, nel differire da sé. Da qui in poi la differànce viene tradotta come differanza.
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